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In questi ultimi anni non si fa altro che parlare di Resilienza. E' diventato uno dei termini dei nostri tempi. Lo incontrai per la prima volta attorno al 2001. Mi era stato fatto conoscere in ambito osteopatico e trasmesso con una certa purezza di significato, ben preciso e rigoroso, di derivazione della fisica dei materiali. Ora c'è una vera e propria inflazione del vocabolo e, come tutte le cose di moda, viene distorto. Ma ciò che mi da più fastidio è vedere come in ambito psicologico sia ormai travisato anche dai professionisti. Vediamo un cucciolo che con tutte le sue forze superare un ostacolo e diciamo "resilienza". Chiediamo ad un individuo di tenere duro e farsi forza e gli chiediamo di essere "resiliente"... NO! Non è questo la resilienza; non è resistenza, non è sinonimo di tenacia, tener duro, non cedere, non piangere, non mostrare debolezza. Non è machismo.
E' una mia battaglia personale da anni far tornare il concetto al suo significato originale che è di origine latina: il verbo resilire si forma dall’aggiunta del prefisso re- al verbo salire ‘saltare, fare balzi, zampillare’. Allora l’aggettivo resiliens indica sia il rimbalzare di un oggetto, sia alcune caratteristiche interne legate all’elasticità dei corpi, come quella di assorbire l’energia di un urto contraendosi, o di riassumere la forma originaria una volta sottoposto a una deformazione.
Per chiarezza, vediamolo in alcuni ambiti:
In fisica Resilienza è la capacità di un materiale di assorbire energia se sottoposto a deformazione elastica; l’esempio classico è quello del pavimento di una palestra che non si rompe sotto il peso dell'atterraggio del cestista, ma si deforma per poi tornare in linea col resto del parquet. Il materiale resiliente non si oppone o contrasta l’urto finché non si spezza, ma lo ammortizza e lo assorbe, in virtù delle proprietà elastiche della propria struttura. Nella tecnologia dei filati e dei tessuti è l’attitudine di questi a riprendere – dopo una deformazione – l’aspetto originale. In Ecologia è la velocità con cui una comunità (o un sistema ecologico) ritorna al suo stato iniziale, dopo essere stata sottoposta a una perturbazione che l’ha allontanata da quello stato.
Allora anche in psicologia dobbiamo assolutamente tornare alla distinzione tra Resilienza e Tenacia, tra Resilienza e Resistenza. Dobbiamo concepire ed apprezzare che un individuo possa (e forse è sano) cedere all'impatto emotivo o cognitivo di un evento o trauma, come un tessuto elastico. Va bene avere il momento di cedimento. Va bene piangere. Va bene aver paura... La resilienza la misuriamo come capacità di successiva ripresa. Mi piego ma non mi spezzo è il motto del resiliente. Se tengo duro, mi spezzo; come un tessuto le cui fibre siano ormai cotte dal tempo e dagli agenti. Prima o poi mi spezzo; in un modo o nell'altro: magari è il corpo a cedere e si ammala; magari ne risento dopo tanto tempo, in maniera insospettabile. Ognuno ha il proprio "punto di rottura".
Ma per la Resilienza vera, per spostare in là questo "punto di rottura", non ci sono scorciatoie: i 5 trucchi che vi propongono i “guru della mente” o le facili strategie cognitive/volitive lasciano il tempo che trovano. La Resilienza ha a che fare con esperienze profonde che hanno a che fare con la Fiducia interiore, con il proprio senso di Consistenza e autostima, con il sentirsi Protetti – per citarne alcune – e che risalgono ai momenti salienti di sviluppo del nostro Sè.
Oggetti – questi ed altri – di una buona terapia Funzionale ed integrata che “risana” le esperienze che non siano andate in modo ottimale, attraverso un lavoro esperienziale, viscerale, sensomotorio. Non bastano le parole.
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