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Chiedere aiuto: perché è ancora così difficile
Nella nostra cultura è ancora complicato parificare la richiesta di aiuto psicologico a quella che rivolgiamo, senza esitazioni, a un professionista del corpo — che si tratti di un medico, un fisioterapista o un osteopata.
Quando si parla di psiche, il tabù è ancora presente.
Procrastiniamo, resistiamo e, quando finalmente decidiamo di chiedere aiuto, spesso lo facciamo in silenzio, con un po’ di vergogna o timore.
Le cose, per fortuna, stanno lentamente cambiando — soprattutto tra le nuove generazioni, più aperte a considerare la salute mentale come parte integrante del benessere complessivo.
Il rischio delle “scorciatoie”
Accade però che, nel tentativo di aggirare il tabù, molte persone si rivolgano a figure “marginali” o non professionalizzate.
Può sembrare una scelta più “sicura”, meno esposta al giudizio, ma spesso nasce proprio dal bisogno di non sentirsi “malati” o “in terapia”.
È quindi importante fare chiarezza: capire quali sono le figure professionali realmente formate e riconosciute, e quali invece operano in un’area più grigia, può fare la differenza tra un percorso di crescita autentico e un’esperienza potenzialmente confusiva o addirittura dannosa.

Con tutto questo, non voglio certo fare il detrattore delle diverse figure professionali – quelle qualificate, s’intende.
Voglio semplicemente ricordare che ognuno dovrebbe occuparsi di ciò per cui è realmente formato. Come si dice: ad ognuno il suo.
Per proseguire, ti lascio una semplice domanda: quando attraversi un viadotto, preferiresti che fosse stato progettato dal famoso “miocuggino” o da un ingegnere civile, e costruito da un’impresa preparata e affidabile?
Lo stesso vale per la mente: la competenza fa la differenza.
Facciamo quindi un po’ di chiarezza tra le principali figure che si occupano, in modi diversi, di benessere psicologico.
È un medico, non uno psicologo. Le due lauree sono completamente differenti. Solo lo psichiatra può prescrivere farmaci. Alcuni psichiatri decidono di iscriversi anche all’Albo degli Psicoterapeuti — la legge glielo consente — ma non sempre hanno svolto una vera scuola di specializzazione in psicoterapia.
Un semplice confronto tra i piani di studi di Medicina e Psicologia mostra quanta poca parte della formazione medica sia dedicata alla psicologia.
Dopo la laurea magistrale in Psicologia, lo psicologo può decidere di formarsi ulteriormente, iscrivendosi a una scuola di specializzazione quadriennale riconosciuta dal Ministero.
Solo dopo questo percorso può esercitare come psicoterapeuta, acquisendo strumenti clinici e tecniche specifiche per la terapia.
👉 Non prescrive farmaci, ma è abilitato a condurre percorsi terapeutici completi.
Qui iniziamo a entrare nel cuore della questione.
Per diventare psicologo occorrono 5 anni di studi universitari e il superamento dell’esame di Stato, che consente l’iscrizione all’Albo. All’interno della categoria degli psicologi sarebbe utile distinguere tra chi ha seguito un percorso clinico e chi no (non tutti gli psicologi sono clinici: c’è chi si occupa di lavoro, scuola, marketing, ecc.).
Lo psicologo può offrire colloqui di sostegno, consulenza e prevenzione, ma non fa psicoterapia e non prescrive farmaci. Essendo iscritto all’Albo, ha l’obbligo del segreto professionale, dell’aggiornamento continuo e del rispetto del Codice Deontologico.
Una figura “di confine”. Ha conseguito la laurea triennale in Psicologia e può operare in contesti di supporto, attuando interventi per la riabilitazione o l’integrazione di persone con disabilità, disturbi neuropsicologici o dipendenze. Non è però abilitato a esercitare la psicologia clinica o la psicoterapia.
Per diventare counselor è sufficiente frequentare un corso di circa tre anni, con una ventina di giornate di formazione all’anno. Non è richiesto alcun titolo universitario specifico, solo un diploma di scuola superiore.
Il counseling può offrire spazi di ascolto e crescita personale, ma non sostituisce in alcun modo la psicoterapia o l’intervento psicologico clinico.
Qui il discorso si fa ancora più leggero…
Per ottenere il titolo di coach basta davvero poco: un corso di poche ore può bastare per “fregiarsi” del titolo.
Il coach si presenta come un allenatore della mente, ma spesso senza alcuna formazione psicologica o scientifica sull’essere umano. Una figura che può avere utilità motivazionale in contesti specifici, ma che non deve essere confusa con un professionista della salute mentale.
E poi ci sono loro: i miocuggini.
Una categoria ampia e creativa che comprende amici, parrucchieri, insegnanti di yoga, sacerdoti, cartomanti e chiunque dispensi consigli “psicologici” senza alcuna formazione.
La buona fede non basta: la salute mentale è una cosa seria.
Come non affideresti la tua colonna vertebrale a un massaggiatore improvvisato, non dovresti affidare la tua psiche a chi non ha competenze certificate.
Ogni figura ha la propria utilità se rimane nel proprio ambito di competenza.
Capire le differenze è il primo passo per scegliere con consapevolezza a chi affidarsi — e per restituire dignità e valore a un gesto semplice, ma ancora coraggioso: chiedere aiuto.

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